Procedure di Elettrofisiologia

Lo studio elettrofisiologico

Consiste nell’introduzione, in anestesia locale, attraverso la vena femorale a livello dell’inguine o una vena del braccio, di appositi elettrocateteri multipolari, che vengono posizionati all’interno delle cavità cardiache (generalmente in atrio e ventricolo destro, sul fascio di His e, se necessario, all’interno del seno coronarico). Gli stessi cateteri possono essere utilizzati sia per la stimolazione elettrica del cuore (vengono erogati impulsi elettrici di bassissima intensità), sia per la registrazione di segnali endocavitari, eseguita con appositi amplificatori in grado di analizzare segnali elettrici dell’ordine del millivolt.

L’esame, che si svolge generalmente nel corso di un ricovero ospedaliero della durata di due-tre giorni, ha lo scopo di:

  • Valutare la funzionalità del sistema di eccito-conduzione
  • Individuare il meccanismo di tachiaritmie
  • Individuare la eventuale patogenesi aritmica di sintomi parossistici (cardiopalmo, lipotimie, sincopi)
  • Stratificare il rischio di pazienti aritmici
  • Valutare l’efficacia di un farmaco nella prevenzione di tachiaritmie

 

L’ablazione Trans-Catetere

È una procedura relativamente recente (al Policlinico di Monza è stata attivata nei primi anni ‘90, tra le prime strutture ospedaliere in Italia) che permette di eliminare definitivamente i substrati anatomici, responsabili di molte aritmie cardiache, col semplice utilizzo del calore (la temperatura non supera i 56-58 gradi), portato all’interno del cuore sulla punta di appositi cateteri. Va ricordato che la procedura è del tutto indolore, in quanto all’interno del cuore non esistono terminazioni nervose che trasportino la sensazione dolorosa (si sente la stessa sensazione, ossia nulla, che si percepisce stirando i capelli con un ferro caldo!). Dopo la procedura non sarà più necessario alcun farmaco per controllare l’aritmia.
Prima di sottoporre un paziente all’ablazione, viene eseguita una serie di esami clinici, per garantire la massima sicurezza e tranquillità (esami del sangue, elettrocardiogramma, ecocardiogramma, ecc.). L’ ablazione trans-catetere viene eseguita in anestesia locale (come quella che usa il dentista). Attraverso una vena e/o un’arteria della coscia, che passa in regione inguinale (se necessario viene a volte utilizzata anche una vena del braccio o una vena sotto la clavicola sinistra), vengono introdotti dei fili elettrici (i cosiddetti “elettrocateteri”) e guidati, sotto controllo radiologico, fino all’interno delle cavità cardiache; tale manovra è assolutamente indolore e non viene avvertita dal paziente. Una volta posizionati nelle cavità cardiache, i cateteri sono collegati a particolari apparecchiature che registrano l’attività elettrica all’interno del cuore; tutto ciò è completamente indolore, come un qualsiasi elettrocardiogramma. Durante l’ablazione è necessario stimolare il cuore con piccolissimi impulsi elettrici emessi dai cateteri (non percepiti dal paziente), in modo da poter provocare l’aritmia in esame e identificare la zona da cui ha origine. Con opportuni stimoli elettrici, del tutto indolori, l’aritmia può essere interrotta dall’operatore.

Una volta identificato il punto di origine dell’aritmia, si procede all’ablazione propriamente detta: mediante uno dei cateteri, già presenti all’interno delle cavità cardiache, si trasmette una particolare corrente elettrica, chiamata “radiofrequenza”, che scalda la punta del catetere stesso (la temperatura non va mai oltre i 60 gradi); il calore determina la coagulazione del punto responsabile dell’aritmia, che viene, in tal modo, soppresso. La corrente è molto bassa e non dà dolore; può essere avvertita talvolta come un senso di fastidio al torace che scompare immediatamente dopo la fine dell’erogazione.
Al termine dell’ablazione i cateteri vengono rimossi con facilità e senza provocare il minimo disturbo; viene quindi eseguita una medicazione che sarà rimossa il giorno seguente.

Cardioversione Elettrica Interna

In caso di insuccesso della cardioversione elettrica esterna tradizionale o in pazienti che non tollerano l’anestesia generale, può essere praticata la cardioversione elettrica “interna”: si effettua per mezzo di appositi cateteri, introdotti attraverso una vena, in anestesia locale e posizionati all’interno del cuore sotto controllo radiologico; per mezzo di questi cateteri viene erogata una scossa elettrica di piccola entità (di solito tra 5 e 10 joules, contro i 100-200 joules utilizzati nella cardioversione “esterna” trans-toracica). Il paziente non viene perciò addormentato, ma solo leggermente sedato in quanto avverte, al momento della scossa, solo una sensazione di colpo nel petto. Quest’ultimo metodo è il più efficace (la percentuale di successo di tale procedura si aggira intorno al 95-98%) e consente di ottenere il ripristino del ritmo normale anche in caso di fibrillazione che duri da parecchi anni.

Impianto di Pace Maker Cardiaco

Il Pace Maker è un piccolo apparecchio elettronico che viene inserito nel corpo del paziente mediante una breve incisione, solitamente sotto la clavicola sinistra. Il Pace Maker è collegato al cuore mediante uno o due fili elettrici (detti “cateteri”), introdotti in una vena della spalla. Il pacemaker interviene in aiuto del cuore quando questo batte troppo lentamente; tuttavia non impedisce al cuore di funzionare autonomamente nei momenti in cui batte in modo regolare. Il Pace Maker è costituito da una piccola scatola di metallo liscio e leggero; le dimensioni e il peso variano a seconda del tipo e delle caratteristiche; mediamente ha una forma rotondeggiante, misura tra 5 e 6 cm da un lato, tra 4 e 5 cm dall’altro e ha uno spessore tra i 7 e i 9 mm; il peso oscilla tra 20 e 30 grammi. La scatola contiene un minuscolo computer e una batteria, che può durare, a seconda dell’uso che se ne fa, fino a 12 anni; attraverso uno o due elettrodi, a seconda delle necessità, invia al cuore piccolissimi impulsi elettrici in grado di aumentare, quando è necessario, i battiti cardiaci. Gli impulsi elettrici trasmessi dal Pace Maker al cuore sono di bassissima intensità e non vengono assolutamente avvertiti dal paziente.

Il Pace Maker viene inserito mediante una semplice procedura: in anestesia locale si pratica una piccola incisione della pelle, di pochi centimetri, nella regione alta del torace, sotto la clavicola sinistra. Si cerca quindi una vena per l’introduzione dei cateteri, che vengono guidati fino al cuore, controllandone il percorso mediante la radioscopia; dopo aver controllato che i parametri elettrici siano regolari, i cateteri vengono collegati al Pace Maker che viene infine inserito in una piccola tasca sotto la pelle; tutto ciò avviene in modo del tutto indolore.

Il Defibrillatore Impiantabile

Il defibrillatore impiantabile (conosciuto anche con la sigla americana ICD) è un dispositivo in grado di controllare continuamente i segnali elettrici del cuore e di erogare una scarica elettrica brevissima, ma intensa quando rileva un ritmo fortemente irregolare che potrebbe causare un arresto cardiaco; la scarica elettrica (detta “shock”) sopprime l’aritmia e permette il ripristino del ritmo normale.

Le caratteristiche dell’apparecchio e la tecnica di impianto sono molto simili a quelle descritte per il Pace Maker; rispetto a quest’ultimo, il defibrillatore è solo di dimensione leggermente maggiore, avendo necessità di batterie di maggiore capacità.

Il “Loop-Recorder”

Il cosiddetto “loop recorder” è un piccolo dispositivo, grande meno di un accendino da tasca (misure esatte: 62 x 19 x 8 mm), in grado di registrare il ritmo del paziente fino a un massimo di tre anni. Tale dispositivo viene inserito sotto la cute, con una piccola incisione di circa 2 cm, in anestesia locale, ed alloggiato solitamente sotto la clavicola (in modo da essere praticamente invisibile). L’apparecchietto è in grado di registrare e memorizzare sia anomalie del ritmo cardiaco in modo automatico, sia, in presenza di sintomi, l’elettrocardiogramma su comando del paziente (con un apposito telecomando esterno).
Questo dispositivo trova la sua principale applicazione, nella pratica clinica, nei pazienti con svenimenti di origine inspiegabile o con palpitazioni di breve durata, difficili da documentare con l’elettrocardiogramma tradizionale; può anche essere utilizzato nel monitoraggio a lungo temine dei pazienti con aritmie ad alto rischio.


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