Quando multidisciplinarietà fa rima con eccellenza
L’istituto di oncologia di Monza in costante crescita
Da anni ormai, una delle realtà più consolidate e importanti all’interno del Policlinico di Monza è quella dell’Istituto di Oncologia, diretto dal Prof. Emilio Bajetta. Professionalità, ricerca e tecniche all’avanguardia per offrire un aiuto concreto al paziente oncologico andando a prendere in considerazione ogni singolo aspetto della malattia, il tutto facendo leva su nuovi punti di forza.
La miglior cosa che oggi l’oncologia possa offrire – spiega il Prof. Bajetta – è l’introduzione di una nuova metodologia di lavoro che preveda la decisione multidisciplinare. Ciò significa che è ormai finito il tempo del singolo primario, della decisione terapeutica presa da un solo professionista. E’ necessario riunirsi, confrontarsi, discutere e far nascere la migliore scelta terapeutica per il paziente”.
Cosa si intende quindi per multidisciplinarietà decisionale? Per spiegarlo è necessario parlare di MOC (Multidisciplinare Oncologia Chirurgia). “Ogni settimana avviene un incontro tra gli specialisti di chirurgia e quelli di oncologia per un reciproco scambio e confronto – spiega ancora il Prof. Bajetta – Durante queste riunioni vengono esposti i casi oncologici e ne viene discusso e deciso l’approccio migliore, ad esempio se il paziente sia operabile o meno e se sia opportuna una terapia pre operatoria”. In molti casi di patologia tumorale, come mammella e stomaco, si tende infatti a sottoporre il paziente ad un ciclo di chemioterapia prima di passare all’atto chirurgico, questo per far regredire il tumore e riportare all’operabilità un paziente che prima non lo era. Ruolo fondamentale in questi casi è quello dell’esame istologico che permette di ricavare informazioni biologiche sul tipo di tumore al fine di trattarlo nella maniera più specifica possibile.
“Spesso le nostre riunioni sono molto vivaci – continua il Prof. Bajetta – capita che ci si scontri, ma questo è normale quando attorno ad un tavolo si ritrovano personalità forti, colte e preparate. La vivacità di queste riunioni altro non è che sintomo di intelligenza e conoscenza della problematica, gli scontri sono propedeutici alla presa di decisioni ponderate e personalizzate sul singolo paziente”.
Gli esempi più riusciti di questo nuovo modus operandi sono senza dubbio rappresentati nella Breast Unit e nella nuova Prostate Unit, due Unità dell’Istituto di Oncologia dedicate rispettivamente al tumore della mammella e al tumore della prostata (compreso anche tutto l’apparato urogenitale maschile).
DOPO LA BREAST, ARRIVA LA PROSTATE UNIT
Il carcinoma della prostata rappresenta la neoplasia maligna di più frequente riscontro nel maschio adulto, nei paesi del primo mondo. Contestualmente le opzioni terapeutiche tradizionalmente impiegate nella cura della neoplasia prostatica (chirurgia, radioterapia, terapia medica) hanno subito una profonda trasformazione tecnica ed esecutiva, che ne ha amplificato l’efficacia e migliorato l’impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Inoltre l’analisi retrospettiva svolta su migliaia di casi trattati nei centri di riferimento di tutto il mondo, ha condotto all’identificazione di alcuni parametri di malattia che possono permettere una predizione del risultato relativamente attendibile. Ne è conseguita l’opportunità di associare differenti modalità di trattamento in funzione del diverso rischio di ripresa di malattia. L’insieme di tutti gli elementi di recente maturazione, rende necessario tracciare dei percorsi diagnostico-terapeutici mirati, derivanti da una decisione condivisa tra gli specialisti deputati alla cura di questa malattia che si traduce nell’approccio multidisciplinare alla patologia. Per questa ragione, all’interno del Policlinico di Monza, è stato avviato un ambulatorio multidisciplinare rivolto ai pazienti con diagnosi di carcinoma prostatico. Afferiscono inoltre all’ambulatorio anche pazienti con diagnosi di neoplasia delle vie urinarie (vescica, uretere, rene, etc) e del testicolo.
L’ambulatorio mette a disposizione, contemporaneamente, la presenza dell’urologo, del radioterapista e dell’oncologo medico. Lo scopo è di fornire un’informazione completa e condivisa sulle reali possibilità terapeutiche per il singolo paziente che viene, successivamente, affidato alle cure dello specialista di riferimento per la prosecuzione dei trattamenti previsti. Sono diversi e ben programmati i passi che gli specialisti dell’IDO compiono prima di decidere quale sia il piano di cura più adeguato per il paziente oncologico. Ecco quindi quali sono i veri punti di forza su cui si fonda l’Istituto di Oncologia del Policlinico di Monza.
TERAPIA NEOADIUVANTE NEL CARCINOMA DELLA MAMMELLA
In diversi studi è stato dimostrato come l’uso della chemioterapia neoadiuvante porti a una riduzione delle dimensioni del tumore in oltre l’80% delle pazienti, con una risposta patologica completa compresa tra il 10-40%. Numerosi studi hanno ancora messo in evidenza, seppur con differenti risultati (30- 85%), come pazienti candidate alla mastectomia abbiano, in seguito al trattamento chemioterapico neoadiuvante, potuto beneficiare di un trattamento conservativo. Questi studi hanno altresì dimostrato una curva di sopravvivenza sovrapponibile per le pazienti sottoposte prima e per quelle sottoposte dopo alla chemioterapia. Tuttavia va segnalato che in determinati sottogruppi di tumore della mammella, è stato osservato un chiaro beneficio in termini di sopravvivenza (HER2-enriched/ hormone receptor negative e triplenegative). La prima motivazione che porta a considerare una terapia neoadiuvante nella pratica clinica è di natura chirurgica. Non è la dimensione del tumore a rappresentare lo spartiacque decisionale sul fare o meno una terapia preoperatoria, quanto piuttosto il rapporto che il tumore contrae con la dimensione della mammella e, non di meno, il desiderio della paziente di ricevere un approccio chirurgico conservativo.
La scelta in fase preoperatoria deve essere coerente con l’obiettivo di perseguire la radicalità chirurgica. Rispetto all’approccio semplificato convenzionale proposto sopra, si ritiene che sia opportuno considerare, di fronte alla scelta di effettuare o meno una chemioterapia neoadiuvante, alcune particolari situazioni cliniche dove la terapia neoadiuvante può avere un suo impiego razionale sostenuto da motivazioni di carattere biologico, con le relative potenziali implicazioni in termini prognostici, come accade per i tumori della mammella HER2-enriched (recettori ormonali negativi) e triple-negative.
In tali sottotipi tumorali, diversamente che per quelli Luminali e/o a basso grado, è ormai dimostrato come l’ottenimento della pCR (risposta patologica completa = assenza di carcinoma invasivo su mammella e linfonodi – ypT0/is, ypN0) si associ a un beneficio in termini di sopravvivenza per le pazienti. Il completamento della terapia neoadiuvante in pazienti affette da carcinomi mammari con le caratteristiche biologiche di cui sopra, può inoltre offrire all’oncologo medico importanti informazioni in vivo, derivanti dalla risposta al trattamento preoperatorio, come per esempio l’individuazione di quelle forme resistenti (pazienti che non raggiungono una pCR) per le quali evidentemente può rendersi necessario un più stretto follow-up o la partecipazione a studi clinici ad hoc. Pertanto, le pazienti affette dai sottotipi citati di carcinoma mammario, potrebbero essere considerate per terapia neoadiuvante e/o terapia biologica anche in assenza delle usuali indicazioni chirurgiche viste precedentemente. La terapia neoadiuvante rappresenta uno degli esempi più evidenti di come la terapia medica del tumore della mammella sia sempre più selezionata, in base alle caratteristiche biologiche della malattia e si colloca come una strategia importante sia nella pratica clinica quotidiana che nelle fasi di sperimentazione clinica, permettendo di esplorare la risposta a nuove molecole in studio. Queste ultime, nella maggior parte dei casi, presentano dei bersagli molecolari ben precisi, distinguendosi dalla chemioterapia convenzionale.
IMMUNOTERAPIA PER IL TRATTAMENTO DEL TUMORE AL POLMONE NON A PICCOLE CELLULE
Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte per tumore nei maschi e la terza causa nelle donne. Fino a pochi anni fa la prognosi mediana dei pazienti in fase avanzata era di pochi mesi. E’ una patologia insidiosa, spesso asintomatica e per la quale non esiste una vera prevenzione, se non condurre una vita sana che preveda ovviamente l’astensione dal fumo di sigaretta. La nuova frontiera nel trattamento dei tumori del polmone non a piccole cellule è rappresentata dall’Immunoterapia. Questo è accaduto grazie ai significativi progressi ottenuti nella comprensione del sistema immunitario che hanno portato allo sviluppo di nuove molecole in grado di potenziare la risposta immunitaria dei pazienti. Nello specifico, in presenza della traslocazione di ALK (circa 4-8% dei pazienti), è possibile l’utilizzo di un farmaco ALK-inhibitor, il Crizotinib che permette di raggiungere sopravvivenze libere da progressione superiori alle chemioterapie standard. Pertanto, indipendentemente dalle anormalità genetiche o metaboliche, i pazienti possono trarre potenziale beneficio dal trattamento perché il target è proprio la risposta immunitaria del paziente e non la cellula tumorale. Nello specifico il Nivolumab, anticorpo monoclonale anti-PD-1, si è dimostrato capace di migliorare significativamente la sopravvivenza globale e la sopravvivenza libera da progressione nei pazienti con carcinoma del polmone non a piccole cellule e ad istologia squamosa.
L’efficacia e l’attività in termini di sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da progressione della malattia di Nivolumab è stata dimostrata anche in pazienti con tumore non a piccole cellule ad istologia non squamosa. Per i tumori al polmone in stato avanzato, i recenti progressi terapeutici hanno poi per-messo di prolungare la sopravvivenza del paziente sino al raggiungimento, ed in molti casi al superamento, dell’anno di vita. Ci sono poi particolari gruppi di pazienti (circa il 12- 18%) che presentano nel campione tumorale mutazioni particolari che li rendono particolarmente sensibili al trattamento con farmaci inibitori della tirosin-chinasi del recettore dell’Epidermal Growth Factor, con i quali possono essere raggiunte sopravvivenze superiori anche ai due anni. L’utilizzo di questi farmaci (Gefitinib, Erlotinib ed Afatinib) ha infatti radicalmente cambiato l’approccio al management del carcinoma polmonare con determinati mutazioni genetiche.
L’ONCOLOGIA GERIATRICA
L’oncologia geriatrica è una branca dell’oncologia che si occupa specificamente della valutazione e del trattamento del paziente anziano, inteso come paziente di età >70 anni e nasce negli ultimi decenni in risposta ad un costante incremento dell’età media della popolazione mondiale (non bisogna dimenticare che le proiezioni demografiche prevedono che entro il 2050 il numero di persone con età >75 anni passerà dagli attuali 6 milioni a oltre 12 milioni -dati ISTAT 2013-). I trattamenti oncologici sono trattamenti impegnativi dal punto di vista fisico dato l’elevato numero di potenziali effetti collaterali a cui si può andare incontro durante le chemioterapie ed è evidente come per un paziente anziano possa essere particolarmente difficile sopportare questo tipo di cure. Nella realtà clinica può capitare di trattare con farmaci chemioterapici pazienti anziani che alla sola visita clinica sembrano essere in grado di tollerare i trattamenti oncologici come i pazienti più giovani, ma che poi all’atto pratico risultano essere molto più fragili di quello che sembrava, cosi come può capitare di non trattare (o sottotrattare) dei pazienti dall’apparente fragilità, ma che invece sarebbero in grado di tollerare perfettamente qualunque tipo di trattamento.
Da questo tipo di esigenza sono nati, nel corso degli anni, una serie di strumenti che consentono una valutazione del paziente anziano nella sua totalità, a 360°, capaci di considerare ogni aspetto della vita della persona che si ha di fronte (condizioni fisiche generali, comorbidità, farmaci assunti al domicilio, contesto sociale di appartenenza, possibilità di aiuto al domicilio), tutti elementi che durante un trattamento chemioterapico possono risultare determinanti nel buon esito del trattamento stesso. Tutti i pazienti con età > 70 anni che approdano nell’unità di Oncologia del Policlinico di Monza, vengono sottoposti ad una valutazione geriatrica di screening tramite un test, chiamato G8, che consente di capire quali pazienti sono in grado di andare incontro ad un trattamento oncologico completo, al pari dei pazienti più giovani, quali pazienti non sono in grado di affrontare trattamenti oncologici e quali pazienti invece richiedono attenzioni maggiori, misure preventive e trattamenti personalizzati; qualora il test di screening non risulti chiarificatore il paziente va incontro ad una valutazione geriatrica multidimensionale completa in modo da capire in dettaglio tutti gli aspetti psico-fisici e sociali del paziente per fare in modo che ogni paziente, di ogni età, vada incontro al miglior trattamento possibile in relazione al suo stato di salute.
IL TRATTAMENTO DEL TUMORE AL PANCREAS
Negli ultimi anni i casi di tumore al pancreas sono aumentati e la cosa pare in parte dovuta all’inquinamento alimentare dal momento che la patologia sembra colpire con più frequenza persone fumatrici, che consumano regolarmente birra e salumi. Il tumore al pancreas è un tumore subdolo, asintomatico per diverso tempo e per questo spesso diagnosticato tardivamente. La sua prognosi è ancora oggi molto infausta, si parla di una sopravvivenza del 5% a 5 anni. Si può quindi facilmente evincere come sia davvero indispensabile individuare una strategia terapeutica mirata andando per prima cosa ad individuare i pazienti borderline ovvero non operabili immediatamente, ma che potrebbero diventarlo grazie alla chemioterapia pre operatoria. Di seguito uno schema esaustivo.
LA RICERCA
È importante ricordare che l’Istituto di Oncologia, accanto all’attività di diagnosi e cura, ritiene strategico svolgere attività di ricerca di diversa natura. L’attività di ricerca in ambito oncologico si caratterizza fondamentalmente per lo svolgimento di trials clinici realizzati e studiati in collaborazione con le più importanti case farmaceutiche del mondo.
Questi studi vengono svolti dal Gruppo ITMO, Italian Trials in Medical Oncology (www.itmo.it).
Il Gruppo è presieduto dallo stesso Professor Emilio Bajetta, che si pone come obiettivo quello di saggiare l’efficacia terapeutica di nuovi farmaci sperimentali. Sono davvero tanti i congressi nazionali organizzati da I.T.M.O., l’ultimo, intitolato, “Oncologia: evoluzione delle conoscenze” si è svolto con grande successo, proprio all’interno del Policlinico di Monza, nel luglio scorso.