Nuove frontiere per la cura delle malattie coronariche
Anche a Monza arriva lo stent riassorbibile
Per la cura delle malattie coronariche viene solitamente utilizzata l’angioplastica, quell’intervento attraverso il quale si dilata l’arteria ristretta, rilasciando al suo interno una protesi metallica (il famoso “stent”) affinchè mantenga il vaso aperto nel tempo.
Recentemente sono stati introdotti, ed ampliamente validati, degli stent coronarici non metallici, realizzati in materiale biocompatibile a completo riassorbimento. L’impianto delle innovative protesi è avvenuto nel Laboratorio di Emodinamica ed Interventistica Cardiaca e Vascolare del Policlinico di Monza su una paziente proveniente dall’Emilia Romagna.
Dott Scalise “Gli stent comunemente utilizzati – spiega il dott. Filippo Scalise, Responsabile del II° Servizio di Emodinamica ed Interventistica Cardiaca e Vascolare del Policlinico di Monza – sono di tipo metallico e predisposti al rilascio di farmaci che proteggono dalla reazione infiammatoria ed immunitaria contro il materiale introdotto e riconosciuto come estraneo dall’organismo.
Tuttavia, il paziente operato è sempre a rischio di effetti secondari come una possibile trombosi a distanza di tempo. Lo stent completamente riassorbibile invece evita l’introduzione di un corpo estraneo metallico nella coronaria e consente di preservare l’integrità del vaso. È un dispositivo atteso da tempo sia da parte dei medici che dei pazienti, specialmente quelli sotto i 50 anni, per i quali potrebbe essere necessario, in futuro, un nuovo intervento”. Il BVS (bioresorbable vascular scaffold, ovvero impalcatura vascolare bio-riassorbibile) rappresenta quindi l’ultima novità nel campo dei biomateriali che l’ingegneria tissutale mette a disposizione. Ha l’aspetto di una minuscola retina di plastica e si basa sullo stesso principio dei punti di sutura riassorbibili. Costituito da un polimero di acido polilattico, il dispositivo inizia a dissolversi a sei mesi dall’impianto e scompare completamente entro due anni: il tempo necessario perché l’arteria riassuma la sua naturale morfologia ed elasticità. Ciò consente di ottenere nei primi mesi la stabilizzazione dell’intervento di disostruzione della coronaria ed in seguito restituisce all’arteria la sua elasticità e la sua capacità di rispondere agli stimoli fisiologici e cioè di restringersi e dilatarsi, senza lasciare traccia di corpi estranei. “Tale dispositivo – conclude il Dottor Scalise – viene ulteriormente ad ampliare la gamma degli interventi eseguibili per via percutanea (ovvero senza la necessità di intervento chirurgico) che vanno dall’angioplastica carotidea e renale a quella degli arti inferiori, dall’esclusione degli aneurismi dell’aorta addominale e toracica agli interventi sulle cardiopatie strutturali come le cardiopatie valvolari e quelle congenite dell’adulto fino al trattamento dell’ipertensione arteriosa refrattaria mediante denervazione renale”.