Natale in Uganda per un gruppo di eroi coraggiosi e silenziosi

2 Maggio 2018

Continuano le esperienze umanitarie del policlinico

Con la solita leggerezza ed incoscienza che ormai ci contraddistingue abbiamo preparato le valige, che più che gli effetti personali contenevano oggetti necessari ad i nostri nuovi e vecchi amici, e siamo partiti. Ed è proprio quando arrivi in aeroporto che l’Africa ti avvolge con la sua cappa di umidità e i suoi odori forti, quasi ad abbracciarti e a ringraziarti per il tuo ritorno”. Dopo un lungo viaggio aereo ecco un altro interminabile viaggio attraverso strade trafficate e caotiche, dove si passa dalle ville ed i giardini di Entebbe, alle improbabili catapecchie di fango e lamiera delle periferie, fino alle dignitose capanne del Nord, dove la vita scorre lentamente e la fretta è quell’errore umano che non ha ancora messo radici. Ed eccoci finalmente arrivare nel “nostro” ospedale: Nord dell’Uganda, Ospedale di Aber, distretto di Oyam, Lira.
Dopo una prima esperienza in un ospedale missionario nella periferia di Kampala e dopo aver visitato altre realtà, abbiamo fatto un’altra scommessa con noi stessi e ci siamo accostati in punta di piedi a questo Ospedale dove abbiamo cercato di aiutare la popolazione fornendo supporti strumentali come letti di degenza, attrezzature diagnostiche, apparecchiature radiologiche, materiale per gli ambulatori, ma soprattutto cercando di offrire il bene della nostra professionalità acquisita in tanti anni di esperienza. L’accoglienza è stata quella di sempre, affettuosa, come se ci fossimo lasciati la sera prima. In quest’ospedale arriva di tutto, dai numerosi malati di malaria, tuttora la malattia che uccide più bambini al mondo, ai pazienti affetti da AIDS, ai traumatizzati, alle donne in stato di gravidanza e soprattutto bambini. Le attività non si fermano mai, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno in cui si cerca di garantire acqua, elettricità, farmaci, professionalità ed anche un po’ di affetto, una carezza e l’ottimismo per sperare in un domani meno avaro.
Tra i pazienti ci sono anche persone affette da malattie a noi poco note o ricoverati che versano in condizioni gravissime e spesso irreversibili perchè arrivati tardi in ospedale dopo estenuanti e chilometrici viaggi a piedi o con mezzi di fortuna o perchè le strutture sanitarie non sono in grado di fornire adeguata assistenza. Le vittime sono spesso le donne, come quelle che subiscono lesioni per un parto complicato, o i bambini, soprattutto neonati o piccolissimi, il cui pianto è spesso silenzioso, come fossero già consci di un destino segnato. Ma nonostante tutto questo, si riesce a percepire una sorta di normalità ed anche di ripresa. Negli ultimi anni in Uganda, grazie alla pace ritrovata dopo decenni di guerre fratricide, si è interrotta la spirale di conflitti e carestie con un importante incremento degli indici demografici, economici, tecnologici e sociali. Il miglioramento economico si tocca con mano e le attuali condizioni favoriscono il lento processo di ripresa e la voglia di normalità sembra avere la meglio. L’aumento dell’aspettativa di vita in una delle popolazioni più giovani del mondo si sta traducendo comunque in una maggiore richiesta anche di condizioni sanitarie adeguate. Ci siamo quindi rimboccati le maniche e, giorno dopo giorno, è volato il nostro tempo tra sala operatoria, ambulatori, ma anche stando tra la gente, vivendo la loro quotidianità e rispettando le loro usanze come è giusto fare, da buoni ospiti. Il nostro obiettivo è sempre stato soprattutto quello di cercare di fornire qualche strumento in più per aiutarli a crescere nel proprio paese e non per favorire viaggi della speranza che più spesso si traducono in ulteriore disperazione.
È proprio dal sorriso delle decine di bambini che abbiamo conosciuto, dalla forza di chi cerca di tirare avanti non solo per la quotidianità, ma anche per la speranza di un domani, cercando una dignità nel nulla, che abbiamo trovato la risposta al perchè dei nostri sacrifici ed abbiamo trovato la nostra Africa, quella dove è palpabile l’energia e la speranza per un domani e dove la determinazione per un futuro migliore è intimamente legata alla voglia di risalire la china nella ricerca di un avvenire dignitoso per se stessi e per le generazioni future. Nonostante questo, non posso tuttavia dimenticare il volto di una giovane ragazza, malata terminale di AIDS, che dal suo letto ha chiesto di essere fotografata, senza paura né vergogna, come se la sua ultima richiesta volesse essere quella della testimonianza di un destino per lei segnato e senza scampo. La sua immagine è sicuramente il più grosso, silenzioso ringraziamento a quello che abbiamo fatto ed il baratro del suo sguardo è sicuramente un invito senza parole al mondo, perchè non dimentichi la sua gente.


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